di Andrea Schiappelli, Fiammetta Sforza e Beatrice Sforza
in Aequa, 35/2014
In considerazione della presunta sopravvivenza in località Fonte S. Benedetto di un antico bacino di raccolta delle acque, riconoscibile verosimilmente nell’incile che alimentava l’acquedotto della colonia latina di Carseoli, gli scriventi hanno effettuato nei primi giorni di dicembre del 2006 un breve intervento archeologico a fini esplorativi, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici per il Lazio che da sempre si mostra estremamente attenta alle antichità locali (1). Con tale indagine si è inteso innanzitutto constatare l’effettiva antichità della struttura muraria, in modo tale da acquisire finalmente gli elementi necessari per inoltrare agli Enti Locali la richiesta di finanziamento, indispensabile per portare alla luce e valorizzare definitivamente il monumento, mediante un’adeguata, nei tempi e nei modi, campagna di scavo stratigrafico. Un’operazione, quest’ultima, che nelle intenzioni delle parti finora coinvolte (2) vorrebbe rappresentare a sua volta il momento preliminare di un progetto di più ampio respiro, di carattere innanzitutto ambientale, paesaggistico e quindi archeologico, mirato alla valorizzazione e alla fruizione dell’area della sorgente di San Benedetto e dei suoi dintorni.
La sorgente di S. Benedetto scaturisce attualmente da due punti distinti (3), distanti tra loro poco più di 20 m, ubicati alla base della parete rocciosa che si trova quasi alle pendici inferiori dell’estremità meridionale del Monte Croce (4), allo sbocco della ripida vallecola, stretta tra il versante orientale dello stesso monte e le propaggini occidentali dell’articolato sistema collinare della Selva Grande. Dalla sorgente principale (fonte S) si origina l’omonimo fosso che, a circa un chilometro di distanza in direzione sud-est, confluisce in un ramo del Fosso di Sésera, a sua volta tributario del fiume Turano. L’area in esame, compresa oggi all’interno dell’ansa descritta dalla strada provinciale, per quanto riguarda lo spazio antistante le sorgenti si presenta da tempo come un ripiano artificiale di ridotta estensione, percorso una volta da una strada proveniente da sud-ovest, ancora riconoscibile sulle carte catastale e topografica. Su questo terrazzo sono stati costruiti, in epoca moderna, due piccoli edifici adibiti alla protezione e alla manutenzione delle sorgenti che alimentano tuttora la rete idrica dell’abitato di Vivaro. Sul margine orientale, il ripiano delle sorgenti risulta delimitato da un approssimativo muro di terrazzamento di recente costruzione, lungo il quale sono state edificate altre due strutture funzionali allo sfruttamento delle acque; la copertura piana della costruzione più grande viene a trovarsi in quota con il terrazzo delle fonti S e N. Per il resto, a partire dalla quota della strada provinciale, lo spazio è organizzato in una serie di gradoni, posti trasversalmente rispetto al corso d’acqua e coperti in larga parte da una fitta vegetazione spontanea.
Storia delle ricerche
La sorgente di S. Benedetto è stata spesso messa in relazione, anche se non esplicitamente, con l’acquedotto della romana Carseoli, del quale è da sempre visibile un tratto lungo quasi 200 m, noto localmente come “Muro Purtuso” (ovvero forato), posto sulla riva sinistra del Fosso di Sésera (già Sesara). Nel Muro Pertuso è stato presto riconosciuto l’acquedotto che serviva, forse già dalla media età repubblicana, la colonia latina di Carseoli, fondata nel 303 a. C. Il filologo tedesco Olstenio, ad esempio, nel suo resoconto di viaggio del 1645 cita il muro come reliquia di un insigne acquedotto, senza tuttavia ricercarne la sorgente, ipotizzata genericamente presso Vallinfreda. Nella seconda metà dell’Ottocento, il Gori e Luigi Degli Abbati si sbilanciarono invece a favore di una provenienza delle acque dell’acquedotto dal monte di Vivaro, senza tuttavia citare esplicitamente la fonte di S. Benedetto. Sarà infine Thomas Ashby, all’inizio del secolo scorso, a fornire una puntuale descrizione delle rovine in opera incerta presso il Fosso Sesara, osservando peraltro che la loro identificazione con i resti di un acquedotto, per quanto assai verosimile, non è immediata, considerata ad esempio l’assenza dello specus, ovvero della condotta idrica.
L’indagine archeologica del 2006
L’intervento in discorso ha interessato un’area rettangolare di circa 120 mq (10 x 12 m), corrispondente grosso modo all’estremità nord (circa un terzo del totale) dello spazio compreso tra la fonte S e la fonte N, dove nel corso degli ultimi anni si sono succeduti lavori di sistemazione delle tubature posate per la captazione delle acque. Tali lavori, che hanno inevitabilmente implicato lo scavo di larga parte dell’area in questione, stando alle notizie raccolte in loco avrebbero anche compromesso in più punti l’integrità del muro antico. Su indicazione del sig. Antonio Cortellessa, addetto per il Comune di Vivaro Romano alla manutenzione del luogo nonché escavatorista in occasione dello scavo archeologico, è stata in breve tempo localizzata la cresta della struttura muraria, per esporre la quale è stato sufficiente asportare una sola unità stratigrafica, corrispondente all’interro artificiale di recente formazione, per uno spessore inferiore a m 0,30. La scelta di intervenire sulla sola porzione settentrionale del muro è stata adottata in corso d’opera, nel momento in cui si è potuto constatare che nei due terzi a sud dello spazio compreso tra le due fonti è stata realizzata una soletta di cemento dello spessore di circa dieci centimetri, atta a salvaguardare da infiltrazioni e inquinamenti superficiali le acque che scorrono alla base del costone roccioso. Inizialmente per mezzo dell’escavatore e di seguito rifinendo lo scavo e la pulizia del muro a mano, è stato riportato alla luce, all’interno di una trincea larga m 2,50, lunga nel complesso m 11,0 e profonda m 0,50, un muro con pianta ad L, orientato nord-ovest/sud-est per un tratto di m 7,20, e sud-ovest/nord-est per un più breve segmento (m 2,70) perpendicolare al primo tratto. Questo secondo segmento murario potrebbe effettivamente configurarsi come chiusura contro la parete rocciosa retrostante il supposto bacino di raccolta delle acque sorgive. Come da accordi stabiliti con la Soprintendenza, ci si è quindi limitati ad esporre il muro per uno spiccato massimo di m 0,50, ovvero probabilmente pari a circa un quarto dell’alzato totale, indicabile intorno ai due metri secondo la memoria di chi assistette ai lavori realizzati in epoca moderna. Alle operazioni di scavo e pulitura hanno fatto seguito la documentazione grafica (5), topografica (6) e fotografica. Al termine dell’indagine, il muro è stato protetto con una rete e infine ricoperto con lo stesso terreno di riporto accumulato ai margini della trincea.
Descrizione del muro
Si riportano qui di seguito, per punti, le caratteristiche principali della struttura.
Tecnica di costruzione: opus cementicium, attualmente privo di cortina di rivestimento, realizzato con malta estremamente tenace e coesa (non friabile), di colore grigio chiaro; come inclusi, sono impiegati prevalentemente (95%) spezzoni di roccia calcarea provenienti dal vicino costone, e solo in misura molto minore frammenti di laterizi (5%).
Dimensioni: larghezza massima, m 1,30; minima, m 0,90. Il muro presenta alla sommità, evidentemente rasata, un profilo a calotta, convesso, con margine alquanto irregolare. Lunghezza m 7,20 (tratto NW-SE) + m 2,70 (tratto SW-NE). Altezza non verificata autopticamente dagli scriventi; quella presunta, come ricordato poc’anzi, sembrerebbe aggirarsi intorno ai due metri; la struttura è stata esposta solo per uno spiccato di m 0,50.
Stato di conservazione. La struttura mostra una cresta palesemente rasata, essendo stata intaccata forse anche in più momenti della sua storia; a circa metà del tratto orientato nord-sud, il muro è stato troncato per il suo intero spessore (m 0,90) e per una lunghezza di m 1,15 dalla posa di una condotta idrica metallica, poco sopra la quale venne posato anche un cavo elettrico, poi dismesso. Anche il segmento orientato verso la parete rocciosa appare mutilo; considerata la distanza dall’attuale punto di sorgiva, la lunghezza del tratto mancante potrebbe essere stimata in poco più di 3 m.
Cronologia. La datazione del manufatto rimane tuttora incerta, dato che lo scavo non ha prodotto alcun tipo di dato utile in questo senso: non sono stati purtroppo individuati strati di antica formazione, né si è rinvenuto alcun tipo di materiale archeologico in giacitura secondaria, ovvero alterata rispetto alla antica deposizione. Per quanto si è potuto riscontrare, si ha in effetti l’impressione che il deposito archeologico circostante il muro romano, se mai esistito, sia stato ormai bonificato dalle opere di epoca moderna e contemporanea. Ad ogni modo, in considerazione della tecnica di costruzione e delle fonti storiche inerenti la topografia della zona, il muro potrebbe risalire all’età repubblicana. L’indagine effettuata ha confermato, in località Fonte di S. Benedetto, l’esistenza di un potente muro di epoca romana, probabilmente caratterizzato da una pianta a “C” a tratti rettilinei, che sembra chiudersi contro la parete rocciosa occidentale. Un muro in opera cementizia di ottima fattura, quindi verosimilmente interpretabile come la struttura di contenimento delle acque captate per alimentare l’acquedotto dell’antica Carseoli. Questa struttura, alla luce dell’ubicazione della sorgente principale (cd. fonte S), potrebbe presentare uno sviluppo lineare di circa 25 m per il segmento NS e di circa 6 m per ciascuno dei segmenti minori, orientati grossomodo EW. Pertanto, qualora tale ipotesi dovesse risultare corretta, la porzione esposta nella presente indagine rappresenterebbe poco meno di un terzo della lunghezza totale del muro, pari a circa 10 m dei 37 previsti.
1- Il breve intervento è stato realizzato per iniziativa della società di ricerche archeologiche Matrix 96 di Roma, sotto la direzione tecnica del dott. Zaccaria Mari (Soprintendenza Archeologica per il Lazio) e grazie alla collaborazione del Comune di Vivaro Romano. Le operazioni sul campo si sono svolte sotto la responsabilità del dott. Andrea Schiappelli e i rilievi sono stati eseguiti dalla dott.ssa Fiammetta Sforza.
2- Soprintendenza per i Beni Archeologici per il Lazio, Comune di Vivaro, soc. coop. Matrix 96.
3- D’ora innanzi, citati come fonte S e fonte N; portata media complessiva inferiore ai 20 litri/secondo.
4- Si tratta di una formazione di calcari marnosi e marne calcaree.
5- Planimetria, realizzata a mano in scala 1:20, e sezione del tratto meglio conservato del muro.
6- Posizionamento del monumento in rapporto alle due casette corrispondenti alle fonti e alla vicina strada provinciale.